sabato 11 dicembre 2010

In viaggio con l'artista Carlo Andreoli (ALO)

Il viaggio inizia una sera sul lungo Po, dentro quelle acque torbide e scure che si direbbero più generose di rifiuti che di storie da raccontare.
Ero dalle parti di Stellata, nella zona del ferrarese. Stavo procedendo lentamente in macchina, c’era nebbia e cominiciava a fare buio. Intravvidi un uomo che camminava lungo l’argine, fermandosi ogni tanto a raccogliere qualcosa.
L’avevo visto con la coda dell’occhio scorrere come un’ombra dal finestrino di sinistra e poi, non so nemmeno perché, l’avevo seguito con lo sguardo dallo specchietto retrovisore: aveva qualcosa in bocca, probabilmente un sigaro, vestiva abiti larghi e scuri e guardava sempre in basso, con un’attenzione particolare. Cosa mai ci poteva essere da guardare con tanto interesse lungo l’argine del Po?

venerdì 3 dicembre 2010

Fabio Musati, un artigiano della scrittura: Il mondo in vetrina di Carlo Andreoli

Fabio Musati, un artigiano della scrittura: Il mondo in vetrina di Carlo Andreoli: "Le grandi metropoli allo specchio. Il mondo spiato attraverso la superficie trasparente di una vetrina, come se fosse in vendita. In un gioc..."

Studi per copertina L'Angelo nero



Studi per copertina Tramonto Falck




http://arteitaliana.blogspot.com/2008/10/carlo-andreoli-e-rohn-meijer-memoria-e.html

Madrid - Graz

Soldatini

Ragusa

Fabio Musati, un artigiano della scrittura: Un ritratto artistico

Fabio Musati, un artigiano della scrittura: Un ritratto artistico: "Così mi vede l'artista Carlo Andreoli. La foto l'ho fatta col telefonino, vale quello che vale. Chi vuole ammirare l'opera faccia una salto ..."

Foto dall'album Il mondo in vetrina


Le grandi metropoli allo specchio. Il mondo spiato attraverso la superficie trasparente di una vetrina, come se fosse in vendita. In un gioco continuo di riflessioni e rovesciamenti dell’immagine l’obiettivo cattura la realtà composita del dentro e del fuori. Cosa c’è dietro una vetrina di Londra? Un cab, un lampadario, dei tavolini, una palazzo elegante, un passante? Cosa è dentro e cosa è fuori? La bambina che piange o che riflette sotto all’Empire State building di New York è stata dimenticata dentro a un negozio oppure è l’immagine riflessa di un manifesto pubblicitario? Il pane e il vino posti ai piedi di un grattacielo sono simbolo di comunione o di commercio? Lenin osserva pensieroso dalla finestra una San Peterburg che non riconosce più come la sua Leningrad oppure è solo un cimelio comunista per turisti?
Sono paesaggi urbani, dove la natura si manifesta solo per confondere e sporcare la nostra visione del mondo: gocce sull’obiettivo, raggi di luce come striature della realtà.
Il mondo ci rovescia continuamente le sue immagini che ci appaiono reali e incontrovertibili, solide testimonianze di un presente certo e promessa di un futuro obbligato a essere più grande, più bello, più veloce.
E’ sufficiente una lastra di vetro per insinuare in noi il dubbio che tutto quello che crediamo essere il nostro presente non è altro che una riflessione della nostra paura, una parete trasparente dietro la quale crediamo di nasconderci.
Ci sediamo come un piccolo Buddah nudo a meditarci su, ma forse siamo solo i soggetti di una nuova pubblicità di uno shampoo.

Foto di Carlo Andreli
Testo di Fabio Musati

Foto dall'album Riflessioni

Foto dall'album Riflessioni

Foto dall'album Rilflessioni

Foto dall'album Riflessioni

Foto dall'album Riflessioni

Foto dall'album Riflessioni

Foto dall'album Riflessioni

Foto dall'album Riflessioni

Copertina La Teoria del grigio

Copertina Il Confine

Copertina Nel corpo del tempo

Copertina Tramonto Falck

Copertina L'Angelo nero

Mostra da Zuni - Ferrara



Come per chi è approdato sull’Insula Felix, immediata è la sensazione che
il pittore matildeo plasmi nuovi spazi di libertà.
La vecchia tela, libratasi in una nuova alba spirituale, sembra mostrare -
priva d’ogni inibizione - la parte più profonda del proprio inconscio. In
alcuni casi, l’opera è inserita in una teca cristallina - una sorta di
lacrima - che accompagna i sentimenti dell’artista, per caduta, sulla
terra. In altri casi, è legno. Oggetti dimessi - e rigorosamente salvati
dalla discarica - si offrono o, come direbbe l’artista stesso, gradiscono
divenir lo sfondo accattivante di una nuova rappresentazione.
D’estremo interesse, inoltre, per quanto concerne il lavoro sull’objet
trouvé, le installazioni: divertissements polimaterici ma anche metafore
profonde dell’essere-nel-mondo.

pollo
Pollo in utero

Fotografie, ritagli, pellicole adesive e carta da parati, in diverse opere
di Andreoli, copulano in funzione di una sorta di thick description, dove
i diversi aspetti della quotidianità sono ritratti, non tanto in funzione
critica, ma in qualità di stimolo ad una osservazione critica.
In quest’esposizione sono presenti alcuni plexiglas liberamente ispirati
dai racconti dell’amico Fabio Musati; inoltre, trovano spazio i Quadretti:
un’interessantissima commistione d’arte e caratteri alfabetici, di cui
colpisce la flessibilità con cui si possono prendere possesso dello
spazio.

http://www.zuni.it/index.phtml?id=32


Luca Rossi

giovedì 2 dicembre 2010

Tramonto Falck, un romanzo murale: I lavori fotografici di Carlo Andreoli per Tramont...

Tramonto Falck, un romanzo murale: I lavori fotografici di Carlo Andreoli per Tramont...: "L'amico e artista bondenese Carlo Andreoli http://carloandreoli.blogspot.com/ mi ha seguito in una delle mie scorribande nei luoghi del ..."

La sua arte

Un ponte tra l’arte e il quotidiano è il percorso che  ci può portare nei pressi della sua anima;
ma è una passerella sospesa sul nulla che ne mostra l’inderterminatezza e la fragilità,
non certo un’opera monumentale che voglia spiegarne un ovvio e stabile collegamento. 
L’opera come sospesa in una sorta di vuoto, su quella passerella di cui sopra,
dove autore e fruitore possono incontarsi forse con uno sguardo veloce,
che può essere anche d’imbarazzo o di paura.,
come di chi si trovi messo di fronte al se stesso che preferisce dimenticare. intensità del tratto, 
dolore che è sotteso da ogni elemento delle sue creazioni,
anche in quelle apparentemente ironiche,
o in quelle blasfeme,
è in quell’innocente ma feroce espressione di dolore dell’esistenza
che possiamo riconoscere come nostre le sue opere.
Il resto - tecniche, dimensioni, categorie, stime e valutazioni - non sono cose che lo riguardino.
Non trovano spazio.

ALO - un tentativo di catturarlo con una definzione

Carlo Andreoli (ALO per gli amici) è un artista. Non intendo che lui sia artista perchè produce oggetti d'arte. Quello  ne è solo un aspetto. Lui è artista quando cammina, beve, dorme, cucina. Non quando parla, perchè lui non parla, ma emette suoni, come un gabbiano o anche come un tacchino, a volte (dipende dalla birrra). Alo non è parte del mondo normale, concreto al quale noi ci riferiamo, sebbene anche lui debba sottostarci con dolore e fastidio, come tutti. A lui però riesce la magia di essere anche altrove, da qualche altra parte, e i suoi occhi sono penetrati dalla luce di quel luogo dove dimora, anche se appare in mezzo a noi.
Un angelo, direte... e cos'è quel nome - Alo - se non la contrazione, la sintesi dell'angelo, e quel breve suono il suo fruscio d'ala, un alo, appunto.  Un angelo bastardo, caduto giù da una nuvola, forse ubriaco.
Chi lo conosce, sa che non esagero. Chi non lo conosce, si faccia penetrare dalle sue opere. Sono fatte con quell'intento.

Fabio Musati

Intervista di Fabio Musati ad ALO davanti a un piatto di risotto e varie bottiglie di vino

Intervista ad ALO, davanti a un piatto di risotto e a varie bottiglie di vino rosso

A 11 anni fondevo barattoli di plastica e di metallo con l’accendino. Li raccoglievo dove capitava e li bruciavo in cantina per farne delle sculture. Non sapevo bene cosa stessi facendo e perché, ma mi piaceva vedere come la materia si trasformasse; era distruzione e creazione, penetrazione della realtà. C’era la puzza, l’odore di bruciato, anche quello era parte della creazione. Le cose che si deformano, si sciolgono, dicono del proprio dolore. Facevo quello, non c’era intenzione, solo il lasciarsi andare a quello per ridurre a elementi minimi. Un sorta di alchimista al contrario.
Poi rimettevo insieme i frammenti e i residui su un tavolo di legno. Non volevo dire niente, cercare niente. Mi piaceva e basta. Mi piaceva l’estetica diversa di quella materia trasformata.
Un amico mi disse che facevo pop art. Non avevo mai sentito nominare la pop art, ma era un bel nome. Mi informai. Scoprii che facevano più o meno quello che facevo io.

In televisione vidi uno sceneggiato sulla vita di Ligabue. La televisione era in bianco e nero, eppure i colori uscivano lo stesso. Convinsi mio padre a portarmi a vedere una sua mostra nel mantovano. Ligabue era di quelle parti. Io sono di Bondeno. Stessi paesaggi grigi, la nebbia, il Po. E il colore di Ligabue: dipingeva gli animali come solo Van Gogh ha fatto. C’era la sofferenza, la selvaticità, la gioia, la tragedia di essere preda. C’era tutto in Ligabue. Vera pop art, arte popolare, che tutti potevano comprendere. L’arte deve essere semplice, popolare, alla portata di tutti.
Se faccio un quadro e lo vendo per cinquanta Euro, c’è qualcuno che lo vede e io ho i soldi per farne altre cinque. E’ solo questo. Non c’è bisogno di altro.

Guglielmo Mari era bondenese, come me. Un grande artista. Usava smalti allo zinco su tela in maniera pazzesca, con contrasti fortissimi. Ritratti di amici, ambienti con una forza espressiva pop, veramente popolare. Usava colori semplici, naturali, violenti, diretti, comprensibili da tutti.
Aveva qualche anno più di me. Era il mio amico e il mio maestro, anche se lui non si sentiva maestro di nessuno.
Dovevamo fare una mostra insieme a Bologna. Ci volevano 200 mila lire. Era uno spazio importante. Io avevo 100 mila lire per andare a Parigi con Angela ed altri amici. O Parigi o la mostra. Scelsi Parigi. Guglielmo ci rimase male. Quella mostra non l’abbiamo più fatta. Lui morì qualche anno dopo.


Fabio Musati

Mostra personale al Circolo Bertold Brecht di Milano - 6-22 Ottobre 2008

http://www.bertoltbrecht.it/dettaglio_mostra.asp?ID=146

Carlo Andreoli e Rohn Meijer: Memoria e futuro, orizzonti in bilico


 
Forse non abbiamo intenzione di fermarci, forse non siamo pronti a fermarci. Forse la paura ci lascia senza fiato, figure inerti in questo mondo rutilante di immagini crudeli e deliranti, in questo giro di vite consumate in fretta, delle quali nulla vogliamo sapere, delle quali ignoriamo la musica segreta. Ma proprio mentre corriamo per dimenticare, proprio mentre il mondo ci ruota attorno con inequivocabile puntualità ... recuperiamo il fiato, dopo l´ennesima corsa, inspiriamo e solleviamo lo sguardo, lasciamo che si allarghi, lasciamo che metta a fuoco la realtà. Una realtà sgrammaticata come quella dei titoli di alcune delle foto di Carlo Andreoli, una realtà dolente, di carne e sangue, dove quasi non esistono sfumature, divorate dalla violenza inconsulta dell´uomo che consuma, dove i colori sono quelli freddi della denuncia o piuttosto della presa di coscienza di questo artista che lascia il proprio segno con una scrittura di meditata imprecisione, con disarmante risolutezza. E´ il mondo degli ultimi, dei piccoli, che Andreoli fissa nei suoi scatti impietosi, restituendo dignità ad un´esistenza dimenticata, inchiodandoci alla nostra coscienza.


http://arteitaliana.blogspot.com/2008/10/carlo-andreoli-e-rohn-meijer-memoria-e.html

Chi sono

Sono nato l’8 Maggio 1963 a Bondeno (Ferrara), a tutt'oggi mia dimora fisica. Ho compiuto studi tecnici, ma da sempre ho coltivato una grande passione per l’arte. Alla perenne ricerca del ‘soggetto’ arte, più che dell’oggetto artistico, mi infiammo davanti ai maestri riconosciuti come l’amico Guglielmo Mari, Rauschenberg, Caravaggio, Van Gogh, Gaudì, Dalì. Strana lista, vero? Quasi una testimonianza dell’assenza di spazio-tempo in cui vivo, che mi tormenta e mi spinge a raccogliere un manifesto da strappare in strada, un frammento di foto perso da chissachi, un giocattolo rubato alle figlie per sporcarlo in un gesto veloce con la pretesa di renderlo arte. Non è facile definire la mia produzione. Sarebbe come tirare delle linee intorno al mio lavoro – quella cornice che non metto mai... - dimensioni, categorie, stime e valutazioni non sono cose per me. Non è che non mi riguardino o non mi interessino. Semplicemente non trovano spazio. È con l’intensità del tratto, è col dolore sotteso ad ogni elemento delle mie creazioni, anche in quelle apparentemente ironiche o blasfeme, che voglio trasmettere l’innocente ma feroce dolore dell’esistenza. Proverò allora, invece di usare le parole - che trovano il loro spazio storpiato nei titoli - a descrivere le opere attraverso le tecniche e i materiali. Qui colori acrilici, grazie alla tecnica del collage, copulano con fotografie, ritagli di giornale, pellicole adesive di varia natura, stoffe, giocattoli smessi e scarti industriali: piccolo catalogo della casualità dell’universo concentrato nel quadrato di una tela. Ma di che tele vado parlando poi? Il pennello non lo uso più da anni, preferisco pennarelli (sì, quelli delle figlie), colla, nastro adesivo, punteruoli, trapani e saldatori. Il mondo dell’arte ha perso i propri confini fisici e meta-fisici, ed è per questo che le mie opere le inserisco, con pochissimo riguardo, tra fogli di plexiglass: vorrei costruire un ponte tra l’arte e il quotidiano. L’opera resta come sospesa in una sorta di vuoto, una passerella sospesa sul nulla, a mostrarne l’inderterminatezza e la fragilità. Su questa passerella autore e fruitore possono incontrarsi forse con uno sguardo veloce, anche - perchè no? - d’imbarazzo o di paura, come chi si ritrovi di fronte al se stesso che preferisce dimenticare.